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Posse - La leggenda di Jessie Lee (1993)

Un film che non meriterebbe tante parole, ma vale come "spunto di genere". Avalliamo la definizione di Pierluigi Ronchetti: "Film di plastica". Troviamo Jessie Lee (Van Peebles), fuorilegge di colore della fine del diciannovesimo secolo, impegnato nella guerra fra Usa e Messico. Si ribella e verrà inseguito per tutto il film dal suo ex colonnello (Zane). Nel frattempo Jessie, con la sua banda, passa attraverso tutta la rappresentazione canonica del West: le rapine, la legge alle calcagna, la ferrovia, le città in costruzione, gli indiani, persino il Ku Klux Klan e poi ancora la vendetta finale. Visibilissime e volute le citazioni, prese tutte dagli ormai classici western della decadenza: Butch Cassidy, L'uomo dei sette capestri, Il piccolo grande uomo, Mucchio selvaggio, Corvo rosso... e Leone a piene mani coi suoi segni (l'armonica, l'orologio, l'ocra del paesaggio, il flashback del padre assassinato). Con un'unica citazione tradizionale: Woody Strode, l'unico nero che ebbe un ruolo di rilievo in un film di Ford, I dannati e gli eroi. In più assistiamo a una regia metropolitana alla De Palma con un richiamo agli Spietati di Eastwood, sponsor iniziale del regista. Alla fine, nella coda dei titoli, veniamo a sapere che i neri hanno avuto un certo rilievo nel West, misconosciuto, e che gli afro-americani, che sono il dodici per cento della popolazione, posseggono solo la metà dell'uno per cento della ricchezza del paese. Ma lo sapevamo anche prima di Posse…

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